Una Ninna Nanna In Balia Delle Onde.


C’erano una volta, Mamma e il suo bambino Sun  al termine di un’interminabile giornata, in cui avevano faticato a tenere accesa la fantasia.
A quell'ora le luci erano spente, i vicini avevano lasciato la parola al silenzio e la madre di Sun era intenta ad accogliere l’ispirazione giusta per poter raccontare la storia della Ninna Nanna.
Dopo un bel respiro, Mamma, appoggiò le mani attorno al capo del suo bambino come a creare uno spazio privato e fissò il suo sguardo in quello di Sun. Il colore dei loro occhi era della stessa gradazione di verde, ma guardando più attentamente, nell'occhio destro di Sun, poteva scorgersi la forma, stilizzata, di un ala di colore più scuro.
Se solo, Mare avesse collaborato, dirigendo la sua orchestra di onde su un motivetto rassicurante, senza improvvisi cambi di repertorio; se solo Cielo, schiarendosi la voce, avesse fatto posto alle stelle mandando altrove le onnipresenti nuvole, allora ci sarebbero state tutte le condizioni per dar inizio al racconto.  
Così non era, Mamma sapeva di non poter contare su nessuno, se non sulla sua fantasia.
Sun, paziente e rannicchiato come una pallina di lana nel suo cestino, era già perso nello sguardo della giovane donna e così cominciò il suo viaggio verso la nanna.  
Mamma iniziò sussurrando:
“C’era una volta una casa sull'albero, nella città della Terra ferma, dove dal cielo piovevano stelle silenziose di quelle che non fanno buche nella terra, ma che lasciano bei sogni sul comodino. In quella dimora i bambini e le bambine facevano lunghi giochi di fantasia, diventando: pittori, astronaute, cantanti e musiciste. Si diceva da sempre che lì tutto era possibile e nessuna fantasia o gioco sarebbero stati troppo grandi, da non poter essere accolti”. Sun sorrideva, immaginandosi in quella fantasia così sicura e piacevole.
Mamma, tenendosi stretta alla corda della barca, continuava: 
“I bambini sapevano parlare con l’albero, si divertivano a definirlo preistorico perché Ginkgo aveva un lessico un po’ datato, da fossile per intenderci. Raccontava di essere arrivato su quel prato dal lontano Giappone quando ancora non sapeva parlare.  Molto spesso per divertirsi tirava su i bambini, aiutandosi con i rami più robusti.  Era come una giostra e ricaricava la fantasia dei piccoli  e  gli  permetteva di trascorrere una buona parte della giornata con la testa tra le nuvole, come raccomandavano i saggi. 
All'ora della nanna, Ginkgo rimboccava loro le coperte fatte di  foglie  e così fischiettava, con l’aiuto di Vento, una melodia dolce e rassicurante".
Sun intanto lottava con Sonno per rimanere sveglio. 
"Nei mesi più freddi, ai bambini, capitava di camminare su un pavimento di foglie giallo oro, l’albero aveva l’abitudine di farle cadere al suolo, era il suo modo per godere di quella coltre gialla. Vento, dava loro un disordine naturale, mentre Sole  creava un teatrino di ombre per intrattenere i piccoli abitanti della casa sull'albero”. 
Sun sorrideva, immaginandosi in quella fantasia così sicura e piacevole, era ormai lontano da quella barca, non sentiva più né Mare e né Vento che parlavano a voce sempre più alta e così si abbandonava al sonno.
Mamma era riuscita anche per quella notte a portarlo in un luogo  libero da tristezza e paura, puzzo e noia, nostalgia e buio. 
Mamma, ogni sera gli regalava la certezza che Mare un giorno, avrebbe lasciato il posto a Terra, con alberi  Ginkgo e casette capaci di contenere il futuro. 
Dove nessuna porta d’ingresso, né mazzo di chiavi, né cartelli, mura o confini avrebbero mai fatto da limite ai desideri di Sun.

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